Ci sono stati più momenti in cui mi sono chiesto se chiudere il blog, desistendo ogni volta, una delle ultime volte è stato quando sono uscito da tutti i social.
Il blog è rimasto parcheggiato per molto tempo, non ricordo nemmeno quanto.
I lettori credo siano forse due e li ringrazio, ma probabilmente i miei argomenti non sono di alcun interesse, ci sono abituato, ho passioni abbastanza poco main stream, anzi sono molto di nicchia e quasi sicuramente anche le mie idee.
Diciamo che di recente ho forse avuto la conferma sullo scarso interesse al blog in via generale.
Mi è capitato, nel mio girovagare su YouTube, di vedere un video di Alberto Naska del suo viaggio in Indonesia e più che altro quello sulle condizioni di vita di alcune persone che guadagnano circa € 100,00 al mese.
Il video è toccante, si vede una situazione di povertà abbastanza radicata e degrado, ma come evidenziato dal buon Naska sono apparentemente felici di quel poco che hanno, nonostante le difficoltà. Ad esempio la corrente non è come siamo abituati noi, abbonamento e bollette da pagare, li è a consumo, si paga per un tot di kw/ora inserendo un codice sul contatore e quando hai usato quello che hai pagato la corrente viene interrotta, acqua corrente manco a parlarne ma pozzi con acqua non potabile e altre mille problematiche.
Non voglio fare un parallelo ma in viaggio di nozze eravamo stati in Polinesia, il paradiso, anche li si vedevano situazioni abbastanza particolari, case non sempre al top e una povertà comunque tangibile, ma anche li le persone erano felici.
Poi ti guardi intorno qua da noi, quello che chiamiamo mondo civilizzato e guardi le persone che incontri, anche semplicemente in strada, tutti arrabbiati, ci si lamenta per mille problemi, cose che non funzionano, cose che si vorrebbero comprare o fare, i soldi che non bastano mai. Pensando a chi veramente ha poco per vivere ma tendenzialmente ha sempre un sorriso ed è più felice di noi consumisti che vogliamo sempre di più, lavoriamo più ore dell’orologio, sacrifichiamo noi, il nostro tempo e la famiglia per acquistare oggetti, viaggi per fare foto e sentirci per un attimo soddisfatti, senza però raggiungere veramente la piena soddisfazione.
Tempo fa girovagando su Pinterest avevo trovato una frase sul generare la necessità di acquistare beni per colmare delle lacune in modo da non far mai raggiungere la piena soddisfazione alle persone e spronarle a comprare altre cose in un circolo vizioso, beh è vero, basti pensare la tecnologia, molti cambiano il telefono ad esempio non perchè quello che hanno in tasca non funziona, ma solo perchè è uscito il modello nuovo che sulla carta sembra essere migliore del precedente ed è necessario averlo perchè fa qualcosa di diverso dal precedente. In molti casi le nuove funzioni sono risibili e l’effettivo uso da parte degli utenti è molto spesso marginale, tant’è la gente compra il modello nuovo.
Basta vedere la corsa agli acquisti durante i saldi. Io ad esempio non riesco mai a trovare cose da comprare durante i saldi perchè o manca la taglia o il colore di quel dato capo non mi piace o semplicemente non mi serve aggiungere nell’armadio strapieno altri vestiti.
Con il tempo ho trovato un certo equilibrio, non compro mai spinto da un impulso, solitamente penso e ripenso all’acquisto per un po’ usando la tecnica di far passare alcune settimane in modo da vedere se veramente ho necessità di una data cosa. Solitamente desisto perchè capisco essere stato mosso dalla smania di comprare un qualcosa che poi probabilmente userei poco o rimarrebbe a prendere polvere in un cassetto.
Effettivamente sembra che il consumismo crei insoddisfazione generale spingendoci a lamentarci fino al prossimo acquisto che temporaneamente ci tiene tranquilli. Forse dovremmo far tesoro da chi ha poco per vivere e vedere la parte migliore della vita smettendo di lamentarci per cose futili.
Fare un cappello introduttivo non è semplice, poi la mia mente bacata ha partorito per un attimo una sorta di sigla in stile Fox ma con la scritta “A Camu production” con tanto di luci e inconfondibile sigla con tamburi e trombe, ma ritorniamo seri.
Il post sotto riportato non è frutto dei miei pensieri ma bensì è stato concepito, senza maltrattamenti sia ben inteso, dal mio vicino virtualeCamu. Definirei l’autore un po’ come se fosse un mio altr’ego, sono anni che ci scherziamo su ma una sorta di connessione mentale esiste, non mi spiegherei post e pensieri con contenuti similari! L’idea di scambiare i post mi è sembrata subito geniale e ho accolto con entusiasmo l’idea. Spero che altri possano apprezzare l’iniziativa!
In un mondo che sembra correre sempre più veloce, dove l’apparenza spesso prende il sopravvento e i sentimenti sembrano confondersi in un mare di superficialità, viene spontaneo chiedersi: ma l’amore vero esiste ancora? La risposta non è nei grandi gesti spettacolari o nelle dichiarazioni eclatanti, ma nella sincerità dei piccoli momenti quotidiani. È in un abbraccio caldo senza motivo, in una parola di conforto detta al momento giusto, in quel sorriso che ci fa sentire a casa. L’amore vero non ha bisogno di apparire: vive e si nutre della semplicità. Lo troviamo quando ci sediamo a tavola con la famiglia, condividendo una cena e una risata, oppure quando trascorriamo una serata tranquilla con gli amici, senza fretta e senza aspettative, solo per il piacere di stare insieme.
In molte culture occidentali, il predominio dell’individualismo ha plasmato negli ultimi decenni le relazioni personali e sociali, spingendo molti a concentrarsi sulla propria realizzazione, spesso a scapito delle connessioni autentiche con gli altri. Si celebra l’individuo, la sua unicità, ma a volte si finisce per trascurare l’importanza del noi. Le relazioni diventano secondarie rispetto agli obiettivi personali, e il rischio è quello di sentirsi soli anche in mezzo alla folla. In molti paesi orientali, invece, il senso di comunità è il cuore pulsante della vita quotidiana. Qui, la famiglia, gli amici e il gruppo sono pilastri fondamentali, e l’identità personale si intreccia profondamente con il benessere collettivo. L’amore si esprime attraverso il sacrificio, la cura reciproca, e l’armonia che si cerca di preservare all’interno della comunità.
Questo contrasto non è privo di sfumature: mentre l’individualismo occidentale offre spazio alla libertà personale e all’autodeterminazione, il senso di comunità orientale insegna il valore di un’appartenenza che dà significato alla vita. Forse, la risposta alla domanda iniziale sta proprio qui: nel riconciliare questi due approcci. Possiamo imparare a valorizzare i legami autentici senza rinunciare alla nostra identità personale, coltivando relazioni basate sull’amore sincero, sulla comprensione e sul rispetto. Riscoprire l’amore vero significa tornare alle radici, al valore di chi ci è vicino, alla bellezza di un legame che si costruisce giorno dopo giorno. È un invito a bilanciare il me e il noi, trovando nel dialogo tra culture una strada per vivere con maggiore pienezza e autenticità.
Prendiamoci il tempo per guardarci negli occhi, per dirci grazie, per abbracciarci senza fretta. Perché in fondo, l’amore vero è questo: esserci, sempre.
Molto spesso in un modo o nell’altro si sente parlare molto di intelligenza artificiale in molti ambiti, molti interagiscono con i vari sistemi per testi, immagini, musiche e qualsiasi altra idea che possa balzarci in testa.
Dopo l’iniziale entusiasmo di interagire con un qualcosa di inanimato diventa onestamente noioso, le informazioni alle volte non sono accurate e le risposte cercando di approfondire un argomento diventano ripetitive e scontate (tutti consigliano di fare domande su argomenti conosciuti, allora perchè dovrei fare domande alla IA se so già le risposte? Non capisco io o non sono il solo?).
La cosa drammatica, oltre ad avere alle volte informazioni errate, allucinazioni e altre amenità, il problema è il costo energetico e di inquinamento, dovuto al funzionamento dei server dove girano le IA. Si dice che per generare un’immagine il costo energetico per caricare completamente uno smartphone, quindi non poco. Non oso immaginare per avere video, testi e musica generati dall’IA cosa costino in termini di energia elettrica.
Sembrerebbe che le varie società impegnate nell’IA stiano cercando di convincere alcuni stati per attivare anche delle centrali nucleari per avere l’energia necessaria a far funzionare le farm di server. Il costo ambientare è folle, tenendo conto di quanto abbiano tutti scassato l’anima ad ogni singolo automobilista (e non solo) per l’auto accusata di essere il male del secolo. Peccato che l’ambientalista medio usi anche la tecnologia e penso che il più delle volte ignori i danni arrecati da quest’ultima.
Era girata la notizia che le farm dei server di Meta, Google e Microsoft consumi tanta energia come alcuni stati, pertanto non poco.
Credo che il progresso non sia dannoso, quando utile, ma l’IA mi sembra una bolla al pari degli NFT ed alcune crypto-valute che con il tempo sono scomparse!
Alzi la mano chi ha inveito almeno una volta contro un computer, una APP, un parchimetro o altro? Direi che almeno tutti una volta nella nostra vita ci siamo trovati sconfortati e rabbiosi perchè non riusciamo a capire cosa dobbiamo fare mentre usiamo un qualcosa e, pensando intensamente a chi ha ideato l’interfaccia e ai suoi familiari.
Solitamente alla fine ci sentiamo frustrati e se riusciamo a capire la logica di come funzioni una data cosa cerchiamo di non dimenticarla e se possibile divulghiamo questa conoscenza per aiutare chi si trova nella nostra situazione.
Questo pensiero è emerso dopo aver visto questo video di Jakidale del suo canale TechDale e Otto Climan dove parlano di design ed interfacce e sul finire parlano proprio dell’interfaccia dei totem di TrenItalia (per fortuna non sono frequentatore dei treni e i pochi spostamenti che ho fatto ho acquistato i biglietti via internet).
Penso che la problematica sia sempre legata ai consulenti che dovrebbero fare da tramite tra il cliente che ha un’idea e non si occupano di programmare e chi materialmente deve fare il lavoro sporco. Solitamente chi fa il lavoro di programmazione è un programmatore fatto e finito, pertanto nella sua logica il sistema funziona ed è ottimo, ma peccato che l’utilizzatore finale alle volte potrebbe non usare abitualmente o saltuariamente un computer, ne ignora i funzionamenti e non è nemmeno tenuto a farlo.
Un esempio abbastanza tipico sono i portali dell’amministrazione pubblica dove sono stati riversati i moduli e le procedure cartacee in un sistema informatico, la logica non esiste ed alle volte i messaggi sono contraddittori, assenti o poco chiari, mandando in crisi anche utenti esperti.
Forse ne ho già scritto, ricordo mia suocera e la sua avversione nell’uso dei computer, li ha sempre trovati complessi e poco chiari, tanto che per la scuola (faceva l’insegnante alle scuole medie) veniva aiutata da mia moglie (all’epoca eravamo fidanzati) o da mio suocero. La sola idea di accendere il computer era un fastidio. Parliamo comunque di computer dotati di Windows 98SE, pertanto l’interfaccia non era poi così complessa e poco intuitiva.
Ricordo che avendo visto l’evoluzione dei computer, partendo da Commodore64 in poi, l’interfaccia uomo-macchina si è evoluta tantissimo, fino ad arrivare alle attuali chiare e semplici. L’utente medio può ignorare cosa succede sotto il cofano, difficilmente oggi un computer si schianta e non riparte, pertanto un plauso a chi ha lavorato tanto per rendere amichevoli degli oggetti complessi da comprendere.
Alla fine siamo arrivati alle interfacce degli smartphone, semplici ed intuitive per chiunque, basti pensare che mio figlio già a due anni riusciva a far funzionare il tablet per guardare i cartoni animati anche senza saper leggere.
Mia suocera è la dimostrazione di quanto sia importante la progettazione delle interfacce, chiare e semplici per tutti, con una logica comprensibile e domande non eccessivamente tecniche, con il primo tablet android e poi il primo smartphone, sembrava aver utilizzato da sempre quei dispositivi senza preoccuparsi più di tanto.
Nel video citato in apertura viene detto che un oggetto deve accogliere l’utente, invitandolo ad interagire con esso e rendendo chiaro l’utilizzo e il sistema di funzionamento, magari riducendo tasti e levette mantenendo la funzionalità, come non essere della stessa opinione? Il futuro delle interfacce forse sarà legato a dei visori e saluteremo mouse e schermi? Dubito ma comunque direi che il lavoro fatto fin qua è stato molto e con ottimi risultati.
Lo SPiD (Sistema Pubblico di identità Digitale) è stata una piccola rivoluzione nella pubblica amministrazione (in uno Stato abituato all’uso di marche da bollo, moduli, firme e timbri), accedere ai siti istituzionali con un unico account, senza doversi registrare ai vari portali, attendere email contenenti link che vengono catturate dai sistemi antispam, se non dover mandare moduli per PEC all’ente che doveva fisicamente attivare l’account, per poi non parlare di doversi ricordare le credenziali di molti siti.
La cosa migliore è che per avere lo SPiD al singolo cittadino non chiede denari, strano ma verissimo, non si paga nulla, ma è proprio così? Non del tutto, in realtà lo Stato italiano paga i vari fornitori di SPiD svariati denari ogni anno, pertanto in realtà tutti (anche chi lo SPiD non lo ha fatto per suoi motivi) stiamo pagando per avere la nostra identità digitale.
Questa è una di quelle mille gabelle, non riconducibile alle tasse vere e proprie, ma che in realtà tutti paghiamo in un modo o nell’altro. Dimostrazione che gratis nel lessico dello Stato italiano non esiste, qualcuno (i cittadini) deve pagare in un modo o nell’altro.